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Ricorso per Equa riparazione a seguito di lungaggini processuali

NOTA DI SEGNALAZIONE

La Corte di Appello di Napoli – Sez. II – con Decreto Rep. n° 4835/09, relativo al procedimento iscritto al n°3648/08 R.G., emesso a seguito di udienza in Camera di consiglio del 10.06.09 e depositato in data 21.07.09, ha affrontato una tematica particolare per la materia del riconoscimento del diritto ad equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 6 CEDU e degli artt. 2 e ss. della legge n.89/01 ( cd. “Legge Pinto”), e concernente la compatibilità tra la prescrizione del diritto e il termine di decadenza della proponibilità dell’azione, sancito dall’art. 4 della suddetta legge.

La questione si pone in termini di valenza ed applicabilità delle norme riguardanti la prescrizione (artt. 2946-2947 c.c.), delle ipotesi tassativamente previste di sospensione della stessa (artt. 2941-2942 c.c.), e dell’inopponibilità della prescrizione, laddove il diritto da esercitare sia sottoposto a termine decadenziale ( art. 2964 c.c. – art. 4 legge 89/01). 

IL CASO E I TEMI

Il caso deciso dalla Corte d’Appello di Napoli in maniera precisa e puntuale, attiene al riconoscimento del diritto ad equa riparazione per irragionevole durata del processo.

 La parte istante, sig.ra M. B., rappresentata e difesa in giudizio dagli avvocati Aldo Avvisati e Marialuisa Faraone Mennella, con ricorso depositato in data 11.06.2008 e ritualmente notificato, adiva innanzi all’Ecc.ma Corte, il M.E.F. in persona del Sig. Ministro L. R.p.t., per ivi sentirlo dichiarare tenuto al risarcimento dei danni non patrimoniali derivati dall’eccessiva durata del processo pensionistico di I° grado, dalla stessa promosso e non ancora conclusosi alla data di presentazione del ricorso stesso.

Ed invero, l’istante, orfano inabile a proficuo lavoro, aveva avviato, in data 27.12.1985, giudizio in materia pensionistica innanzi alla Corte dei Conti di Roma - III Sezione Giurisdizionale per le pensioni civili – e, soltanto in data 02.01.2008, aveva ricevuto comunicazione di trasmissione dell’incardinato procedimento innanzi alla Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale della Campania, a seguito della quale presentava rituale istanza di prelievo/trattazione.

Pertanto, pendente, ancora, il giudizio principale, proponeva innanzi alla Corte d’Appello di Napoli  appunto il giudizio definito comunemente di “Equa riparazione”, con cui  chiedeva di riconoscere l’avvenuta violazione dell’art.6, par. 1, della CEDU, sotto il profilo del mancato rispetto del termine di ragionevole durata del processo presupposto.

Instaurato il contraddittorio a seguito, come detto, di regolare notifica del ricorso introduttivo, si costituiva il convenuto Ministero, il quale chiedeva dichiararsi infondato il ricorso ed eccepiva, in via subordinata, la prescrizione, anche parziale, ai sensi degli artt. 2946 e 2947 c.c., della pretesa azionata.

Nella pronuncia in commento, l’adita Corte, pur sostenendo che “la ragionevole durata non può essere astrattamente predeterminata in termini assoluti, ma va individuata alla stregua della specifica realtà processuale, desumendola dalla natura della lite, dalla complessità del caso, dal comportamento sia del giudice che delle parti, e dalla difficoltà delle questioni controverse”, s’inserisce nel solco dettato dal Supremo Collegio e ampiamente consolidatosi nella giurisprudenza di merito (anche di altre sezioni della stessa Corte napoletana), confermando il diritto degli utenti del “servizio giustizia” ad essere risarciti in caso di eccessiva durata del loro processo, senza alcuna necessità di prova del danno subito.

La Corte poi, come detto, con ampia e motivata argomentazione, rigetta la eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta: sostiene, infatti, che la decadenza prevista dall’art. 4 della legge 89/01, in base al quale dettato “la domanda d’equa riparazione deve essere proposta entro il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il giudizio presupposto”, “fa sì che il danneggiato possa conseguire il recupero di tutto quanto gli spetta a titolo di equa riparazione”, secondo “una regola di compatibilità tra prescrizione e decadenza, che non si pone in contraddizione con la previsione della tassatività delle ipotesi di sospensione della prescrizione, e che comporta l’inopponibilità della prescrizione stessa”.

La Corte, pertanto, rilevato che dalla documentazione prodotta emergeva che il giudizio intentato dalla ricorrente davanti alla Corte dei Conti di Roma aveva avuto inizio con il deposito del ricorso in data 27.12.1985 ed era ancora pendente al momento del deposito, avvenuto in data 11.06.2008, della domanda di equa riparazione, per cui, il tempo di durata del processo presupposto era pari ad anni 22 e mesi 6 circa; considerato che “la "ragionevole" durata del processo non può essere predeterminata astrattamente in termini assoluti ma deve essere individuata in relazione alla specifica realtà processuale desumendola dalla natura della lite, dalla complessità del caso, dal comportamento del giudice e delle parti (cass. 18332/02), e che, nella specie, tenuto conto della materia oggetto del contenzioso (pensione di reversibilità) e della difficoltà delle questioni controverse la ragionevole durata del giudizio può fissarsi in tre anni;  ritenuto “che il danno non patrimoniale deve essere riferito al periodo eccedente tale termine, secondo l'insuperabile previsione dell’art. 2 comma 3 lett. a) l. 89/01 (C ass. n.1354/08) e, dunque, nella specie, ad anni 19 e mesi 6 circa; considerato ancora che, “secondo i criteri elaborati dalla corte Europea in sede di applicazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo, e tenuto conto del comportamento della ricorrente che, pur non essendo tenuta al deposito della c .d. “istanza prelievo” non prevista nel giudizio pensionistico innanzi alla Corte dei Conti, non ha mai sollecitato la trattazione della causa se non dopo l'invito rivoltole dalla Corte in data  12.12.07, così dimostrando di non avere un particolare interesse alla decisione del ricorso presupposto” ha ritenuto, in accoglimento del ricorso  “appare equo liquidare la somma di  € 800,00 per ogni anno di ritardo” e condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze “al pagamento in favore del ricorrente della somma di € 15.600.0 oltre interessi”

 

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